ASTA 191 - OLD MASTERS & XIX CENTURY
Lotto 45
Opera provvista di certificato di esportazione.
Si ringrazia Francesca Baldassari per aver confermato l'attribuzione.
In una delle due tele, a pendant, Arlecchino, con il violino nella mano sinistra e con l’archetto nella destra, è dipinto mentre insegna l’arte della musica alla dama che tiene leziosamente tra le mani una stola quasi trasparente. Il fondo neutro e l’abito chiaro della giovane donna contribuiscono a far risaltare i colori sgargianti del costume di Arlecchino. Nonostante la gamba di legno (che ricorda l’iconografia dell’Arlecchino ferito o Arlecchino reduce di guerra), il servo, improvvisato maestro di musica, sembra muoversi perfettamente a sua agio, mentre la dama, che incede verso di lui, ha tutta l’aria di essere rapita dal suono del violino.
Nell’altro esemplare Arlecchino viene respinto da una servetta. Siamo di fronte al momento culminante del rifiuto, quello in cui la donna, stanca delle attenzioni non gradite, colpisce alla fronte lo spasimante per poi verosimilmente scappare. Il senso della fuga verso destra è suggerito anche dalla corsa del cane in primo piano, che svignandosela con il pezzo di carne tra le fauci, verosimilmente rubato dalle cucine, si fa anche lui beffa del sempre affamato Arlecchino, rimasto sorpreso dal doppio smacco e con ancora il foglio riempito di versi d’amore per la bella servetta.
Le tele sono repliche autografe di due dipinti di analogo soggetto conservati rispettivamente presso l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e presso il John and Mable Ringling Museum di Sarasota. Questi dipinti ebbero una grande fortuna, come attesta anche la serie di quattro acqueforti al bulino tratte a Venezia agli inizi degli anni Settanta del Settecento da Francesco Bartolozzi.
Ferretti dovette eseguire più opere dedicate alle avventure ( e disavventure) di Arlecchino, raccolte in serie e poi replicate più volte nel tempo in altri formati. E’ documentato che l’artista realizzò le ‘Arlecchinate’ nel corso del quarto decennio del Settecento per la famiglia senese dei Sansedoni, amante del teatro e della commedia dell’arte, di cui l’artista affrescò il grandioso palazzo di famiglia che si affaccia in piazza del Campo a Siena. Orazio (1680-1751) e il nipote Giovanni (1711-1772) Sansedoni mostrarono un particolare interesse per le rappresentazioni teatrali ed, in particolare, per la maschera di Arlecchino: nell’inventario post mortem di Orazio, datato 1751, sono elencate sedici tele con storie di Arlecchino, e già nel 1746 questi aveva inviato presso la residenza del nipote Giovanni, la Villa di Basciano presso Monteriggioni, sei dipinti di medesimo soggetto.
Fu con ogni verosimiglianza l’eminente erudito ed etruscologo fiorentino, Anton Francesco Gori (1691-1757) effigiato dal cugino Ferretti in due tele conservate in due differenti collezioni private e amico del commediografo Carlo Goldoni, presente nel 1742 a Firenze per qualche mese, a suggerire al pittore l’idea di raffigurare Arlecchino nei suoi molteplici travestimenti: oltre che in qualità di maestro di musica e aggredito dall’amante, come appare raffigurato nelle tele in esame, anche in qualità di pittore, studioso, medico, reduce di guerra, trinaia al tombolo, servo imbroglione, brigante, cuoco, ghiottone, contadino, smascherato, padre di famiglia, gran signore e mendicante.
Ad una datazione di queste opere e delle varie serie dedicate da Ferretti ad Arlecchino nel corso degli anni Quaranta- Cinquanta conducono concordemente i dati stilistici, documentari e storici.
Bibliografia comparativa
Per l’artista e il tema delle ‘Arlecchinate’ cfr. F. Baldassari, Giovanni Domenico Ferretti, Milano 2002 e F. Sottili, Le ‘Arlecchinate’ di Giovanni Domenico Ferretti e la committenza Sansedoni, in “Paragone”, LIX, 703, n.s. 81, settembre 2008, pp. 32-54.
Base d'asta: € 12.000,00
Stima: € 18.000,00 - 22.000,00
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